Di Alessandro Gaetani, Avvocato del Foro di Parma
Nel silenzio generale, piano piano e lenta lenta, la nostra stellare Corte Costituzionale manda finalmente in udienza l’ordinanza di rimessione del TAR Lazio datata 15.07.2022.
L’udienza è fissata per il 15.10.2024.
Si tratta di una coraggiosa ordinanza a firma del giudice estensore Dott. Sebastiano Zafarana (già avvocato siciliano ed entrato nella magistratura amministrativa nel 2012), membro del TAR capitolino, che ha sospeso il giudizio in corso e rimesso gli atti alla Corte.
Il collegio in questione, con motivazione impeccabile, ha sollevato con ardire e lucidità semplici questioni di costituzionalità nell’ambito di un ricorso promosso da un operatore appartenente alla Polizia Penitenziaria sospeso immediatamente dal servizio e senza retribuzione per mancata vaccinazione Covid-19, all’alba dell’entrata in vigore del D.L 172 del 26.11.2021 che estendeva alle forze di polizia la portata applicativa del famigerato DL 44/2021.
Ebbene, il poliziotto ed il suo difensore hanno posto una molteplicità di eccezioni di costituzionalità, in modo crudo, diretto e senza remore, e verrebbe da dire anche semplice. Il magistrato Zafarana ed il collegio del Tar Lazio le reputano fondate, altrettanto semplicemente.
Succede però l’inspiegabile: L’ORDINANZA DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE NON VIENE PUBBBLICATA IN GAZZETTA UFFICIALE.
Passano infatti quasi due anni dal 15.07.2022, data cioè della pubblicazione con il deposito in segreteria della decisione a firma del Dott. Zafarana, quando, finalmente, l’ordinanza del TAR Lazio, di grazia, viene pubblicata con indicibile ritardo sulla Gazzetta Ufficiale del 20.03.2024.
Il ritardo non ha precedenti. È un caso e non se ne conoscono motivi.
Con la pubblicazione si radica quindi, tardivamente, il giudizio costituzionale n. 35/2024. Andrà in discussione, come detto, il prossimo 15.10.2024.
Che succede?
Succede che nei due anni la Corte Costituzionale ha deciso altre ordinanze di rimessione sul tema vaccini Covid-19. Ma non questa.
Questa è stata messa nel cassetto, in attesa, in stand by, come detto.
Puramente e semplicemente non è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale e non si sa il perché.
Eppure, la questione è semplice, diretta, chiara. La più chiara di ogni altra.
Parla di diritto, non di scienza. Parla di Costituzione, come dovrebbe essere e come ci si aspetta che sia.
I precedenti della Corte Costituzionale fanno però sì che la discussione non si terrà in udienza pubblica, ma in camera di consiglio.
Decisione veloce, quindi. Perché, ovviamente, ci sono i precedenti già decisi, su casi identici o quasi identici.
Tant’è.
L’esito del giudizio pare, di conseguenza, essere scontato.
Motivato, ci si aspetta, “per relationem” ai citati precedenti.
Anche la Parte pare si sia fatta “da parte” con il suo difensore, perché il poliziotto non si è costituito nel giudizio della Corte.
Non si è costituita nemmeno l’Avvocatura dello Stato.
Discuterà perciò nella camera di consiglio, a quanto risulta, solo il relatore Giudice della Corte Costituzionale Dott. Patroni Griffi, che in questa udienza, a porte chiuse come tutte le camere di consiglio, esporrà la questione alla Corte. Ci sarà quindi un verbale e basterà, perché nessun altro prenderà la parola.
Merita onore il coraggioso Avvocato che ha assistito la parte, il quale sicuramente avrà compreso prima di tutti l’impossibilità di successo del suo operato, per motivi non dipendenti dal suo operato.
Di seguito un estratto virgolettato delle parole del parimenti coraggioso magistrato Zafarana, giudice estensore dell’ordinanza di rimessione, un bagliore di luce nelle tenebre della giustizia del presente.
AG
“Va preliminarmente premesso e debitamente considerato come il d.l. n. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, d.l. n. 44/2021), nell’ambito di una situazione sanitaria nazionale emergenziale che certamente presenta caratteri di novità e di straordinarietà.
Tuttavia la disposizione impugnata sembra porsi in conflitto, o comunque evidenzia profili di scarsa compatibilità con i principi desumibili dagli artt. 2, 3, 32 comma 2, Cost., nella misura in cui le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato, appaiono oggettivamente sbilanciate se ricondotte nell’alveo della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, avuto anche riguardo alla natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 15 giugno 2015, n. 2939; T.A.R. Lombardia. Milano, Sez. I 16 maggio 2002, n. 2070), generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari.
Il diritto al lavoro, infatti, è considerato valore fondativo della Repubblica riconosciuto nell’ambito dei “principi fondamentali” della Carta costituzionale (artt. 1, 4) nonché status attraverso il quale si realizza la partecipazione dell’individuo all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3. Co. 2, Cost.), potendo così egli concorrere al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4), e costituisce il mezzo per assicurare alla persona - secondo principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione - il diritto fondamentale di vivere un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.)
La disposizione in esame, allora, nel precludere al personale della Polizia Penitenziaria non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa (escludendo in radice l’adozione di soluzioni alternative quali ad esempio: la sottoposizione del dipendente ad un rigido sistema di controllo tramite test periodici di rilevazione del virus; l’assegnazione a mansioni diverse non a contatto con il pubblico o i colleghi, forme di lavoro da remoto, etc.), impedisce allo stesso di fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle proprie primarie esigenze di vita; sicché non può che esporsi al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, ad eccessivo detrimento del valore della dignità della persona, con possibile violazione, oltre che dell’art. 2, anche dell’art. 3 Cost.
In particolare, l’art. 2 Cost. stabilisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Anche a fronte dei sanciti doveri di solidarietà sociale incombenti su ciascun individuo, nei quali può farsi rientrare l’obbligo vaccinale, la norma costituzionale nel prevedere una particolare tutela dell’individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (tra cui rientrano i luoghi di lavoro), non sembra consentire l’adozione di misure che gli precludano ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita e che, pertanto, finiscono inevitabilmente per ledere la dignità della persona.
Va infatti considerato che il pubblico dipendente sospeso ex art. 4 ter d.l. n. 44/2021, non può accedere a quegli istituti che tutelano i lavoratori privati in caso di perdita dell’occupazione, quale, ad es., l’indennità di disoccupazione, essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato, sicché lo stesso perde ogni possibilità di far fronte alle esigenze primarie della sua esistenza e del suo nucleo familiare, non potendo fare
affidamento su alcuna forma di sostegno economico per un periodo temporale particolarmente rilevante, da ultimo prorogato fino al 15 giugno 2022.Sicché non appare implausibile ritenere che le disposizioni in esame finiscano di fatto per trasmodare in una sorta di coercizione indiretta all’adempimento dell’obbligo, ponendo il lavoratore renitente di fronte all’alternativa di doversi suo malgrado sottoporre alla vaccinazione da egli avversata, ovvero subire uno stato di prolungata indigenza e di significativa compressione del suo abituale tenore di vita.
Dunque, introducendo ulteriori dubbi di costituzionalità rispetto all’art. 32, co. 2, Cost. il quale dispone che, anche nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
5.2. Vengono in rilievo le seguenti altre considerazioni.
L’obbligo di sottoporsi a trattamento sanitario costituisce un’eccezione rispetto al principio sancito dall’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria (Cass. civ., Sez. III, 5 luglio 2017, n.16503); e indipendentemente da ogni questione relativa alla reale efficacia, o alla disputa tra vantaggi e presunti svantaggi, della vaccinazione contro il Covid-19, è un dato di comune esperienza che qualsiasi pratica sanitaria o farmacologica, sia pur correttamente praticata, comporta comunque dei possibili rischi per la salute, che in taluni casi possono rivelarsi anche gravi.Tanto che in seno allo stesso d.l. n. 44/2021 il legislatore, con l’art.3, ha ritenuto di dover espressamente escludere la responsabilità penale degli operatori medici per fatti conseguenti alla somministrazione del vaccino in tutti i casi in cui “… l'uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del
Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.Sicché deve rilevarsi come l’impianto normativo nel suo complesso, da un lato si faccia carico di disporre norme di salvaguardia penale in favore del personale medico, mostrando così di considerare tangibile la possibilità che la vaccinazione possa comportare rischi (per quanto statisticamente marginali) perla salute; dall’altro lato nega contraddittoriamente e in modo assoluto ogni sostegno economico al dipendente che, non volendo accettare quei rischi, rifiuti di sottoporsi all’obbligo vaccinale ex art. 4 ter d.l. n. 44/2021, esprimendo così una libera scelta in materia sanitaria che certamente può essere opinabile ma che, in quanto tale, non è censurabile a livello disciplinare, come espressamente riconosciuto dalla norma stessa.
In definitiva la norma in esame sembra confliggere con l’art. 32, co. 2, Cost. ponendo il pubblico dipendente che voglia esercitare il diritto di liberamente determinarsi in materia sanitaria, di fronte alla alternativa di non poter assicurare a sé ed alla propria famiglia neppure i mezzi di sostentamento minimi ed indispensabili, e di non poter far fronte ai propri impegni economici (nel caso in esame il ricorrente si duole di non essere in grado di pagare la rata mensile del prestito ottenuto); laddove la norma costituzionale in esame prevede, invece, che nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Non appare ultroneo osservare come il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale non è considerato dallo stesso legislatore come atto penalmente o disciplinarmente rilevante (art. 4 ter, comma 3, d.l. n. 44/2021) e, tuttavia la disposizione in esame non soltanto preclude al dipendente di svolgere la propria prestazione lavorativa a seguito della sospensione, con conseguente perdita della retribuzione, ma lo priva perfino della fruizione di quegli istituti, come l’assegno alimentare, che gli verrebbero invece garantiti laddove fosse sospeso poiché coinvolto in un procedimento penale e disciplinare, con misure anche restrittive della libertà personale, e dunque per procedimenti riguardanti il suo coinvolgimento in reati anche di oggettiva gravità.
5.3. Sotto quest’ultimo profilo, l’art. 4 ter d.l. n. 44/2021, nello stabilire che “durante tale periodo non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento comunque denominati, anche di natura previdenziale”, sembra infatti sancire l’impossibilità del lavoratore sospeso di accedere anche a forme di assistenza minime, come quella dell’assegno alimentare (comunque denominato), e sembra allora integrare un’ulteriore violazione dell’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e per irragionevolezza, posto che impedisce anche l’applicazione di quelle misure di sostegno che l’ordinamento ha sempre riconosciuto persino in caso di sospensione cautelare del lavoratore, laddove quest’ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver commesso) determinati fatti costituenti reato, idonei a determinare anche l’irrogazione di sanzioni disciplinari.
A tal riguardo, il ricorrente lamenta, ad esempio, che gli art. 914 e seguenti del d.lgs. n. 66/2010 (Codice dell’Ordinamento Militare) prevedono che l’ente di appartenenza sospenda (in via precauzionale, obbligatoria o facoltativa) il militare imputato di un reato da cui possa derivare la perdita del grado, o il militare sottoposto ad arresto o qualsiasi altra misura cautelare; e tuttavia, l’art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 rubricato “Norme comuni in materia di sospensione dall'impiego” prevede comunque che: “Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo.
Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà”.
Ma vengono in evidenza anche altre disposizioni normative:
- l’art. 82 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, secondo cui “All'impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia”;
- l’art. 500 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.297, recante il testo unico del personale scolastico, contenente analoga disposizione anche in materia di sospensione disciplinare;
- gli artt. 10, 21, co. 4, e 22 co. 4, del d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, i quali contengono la previsione dell’erogazione dell’assegno alimentare sia nelle ipotesi di sospensione disciplinare (art. 10 d.lgs. 109 cit.), sia nelle ipotesi di sospensione cautelare, obbligatoria o facoltativa (artt. 21, co. 4 e 22 co. 4 d.lgs. 109 cit.).
- la contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato ex art. 2, co. 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, competente a regolare “la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni”, ex art. 55, co.2 D.lgs. 165/2001, prevede l’assegno alimentare nei casi di sospensione cautelare del dipendente, anche laddove quest’ultima si protragga per un notevole arco temporale, in quanto disposta in attesa degli esiti di un procedimento penale, e dunque anche per fatti ritenuti di oggettiva gravità e disvalore.
5.4. Per tutto quanto precede la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione previste dalla norma in esame appaiono conseguenze sproporzionate e in contrasto con l’art.3 Cost.
Si tratta, infatti, di conseguenze che per la loro portata sono suscettibili di vulnerare i diritti fondamentali della persona, eppure correlate ad una condotta (il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale) non integrante né illecito penale, né illecito disciplinare; e che pertanto sembrano integrare una irragionevole disparità di trattamento rispetto a quei lavoratori sospesi perché coinvolti in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità ed ai quali, invece l’ordinamento riconosce l’assegno alimentare per far fronte ai loro bisogni alimentari primari.
6. Conclusivamente questo Tribunale, ai sensi dell’art. 23 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 ter, comma 3, del d.l. n. 44/2021 (articolo inserito dall'articolo 2, comma 1, del d.l. 26 novembre 2021, n. 172, convertito con modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3) nella parte in cui prevede, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dal servizio e la perdita della retribuzione per il personale della Polizia Penitenziaria, per contrasto con gli artt. dagli artt. 2, 3, 32 comma 2, Cost., della Costituzione, e comunque sotto il profilo della mancata previsione di un assegno alimentare per violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza”.
(Sebastiano Zafarana, magistrato).