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tutela privacy in ambito scolastico

DALLA MANCATA TUTELA DELLA PRIVACY IN AMBITO SCOLASTICO ALLA DISCRIMINAZIONE ISTITUZIONALIZZATA: UN GRAVE PREGIUDIZIO PER I CITTADINI PIÙ DEBOLI

12 Novembre 2021

In questi due anni di emergenza, i nostri figli hanno pagato un prezzo esorbitante sul piano psicofisico a causa del clima di terrore diffuso e delle stringenti misure di prevenzione e contenimento dei contagi, che hanno travolto i ritmi e le modalità naturali della loro esistenza quotidiana. 
Dopo un tempo così lungo – nel corso del quale è stato possibile acquisire importanti conoscenze sul virus e sarebbe stato possibile quantomeno migliorare le condizioni strutturali di scuole e mezzi di trasporto – ci saremmo aspettati dalle istituzioni preposte uno sforzo particolare volto a cercare di restituire ai più giovani la vita, la salute, la socialità.

Restiamo quindi increduli di fronte alla sequenza di disposizioni – evidentemente non estemporanee, ma funzionali a un preciso disegno di disgregazione umana e sociale – con le quali si tende a inasprire la pressione anziché allentarla, a generare divisione e potenziale conflittualità anziché favorire l’armonia tra coetanei e il reciproco sostegno, rendendo la scuola una sorta di presidio sanitario e luogo di discriminazione istituzionalizzata. Tutto quello che, mai, essa dovrebbe essere.

  • Avevamo guardato con preoccupazione alla disposizione contenuta nel DL 111/2021, convertito in l. 133/2021, con cui il legislatore ha fatta propria l’idea arbitraria di subordinare l’uso della mascherina in classe alla circostanza che tutti gli alunni abbiano completato il ciclo vaccinale o siano muniti di un certificato di guarigione in corso di validità. Una novità il cui obiettivo esplicito, secondo le parole del ministro Bianchi, è quello di «incentivare la vaccinazione dei più giovani» e che è stata salutata con palese soddisfazione: «dove ci sono classi di completamente vaccinati si può tornare a sorridere insieme». Insomma, una norma dichiaratamente ricattatoria e intenzionalmente discriminatoria, a dispetto del basilare principio di precauzione.
     
  • A breve distanza è intervenuta la circolare 36254/2021 del Ministero della Salute, considerata applicabile anche in ambito scolastico, in cui era stabilita una diversa durata della quarantena a seconda che il c.d. “contatto scolastico” abbia o non abbia completato il ciclo vaccinale: 7 giorni nell’un caso, 10 giorni nell’altro. Né il ministero né i suoi consulenti hanno provveduto a spiegare su quali presupposti logici e scientifici si fondasse lo scarto di tre giorni previsto, la cui irragionevolezza è tale da rendere vieppiù grave la diversità di trattamento tra gli alunni della stessa classe, nonché i prevedibili effetti discriminatori che ne derivino. 
     
  • Con la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado, abbiamo dovuto assistere a un copione tanto sorprendentemente diffuso quanto assai poco edificante: un gran numero di insegnanti ha ritenuto una priorità carpire agli alunni informazioni sullo stato vaccinale loro e dei loro famigliari, ricorrendo o alla brutale alzata di mano, oppure a metodi obliqui e indiretti. Si è aperta così, ufficialmente, una vera e propria caccia all’untore. L’entità del fenomeno ha indotto il Garante della Privacy a dare seguito alle tante segnalazioni ricevute con una lettera al Ministero dell’Istruzione, nella quale viene ricordato che, ai sensi della normativa vigente, «agli istituti scolastici non è consentito conoscere lo stato vaccinale degli studenti né quello dei loro familiari», sicché debbono essere individuate «modalità che non rendano identificabili gli studenti interessati, anche al fine di prevenire possibili effetti discriminatori per coloro che non possano o non intendano sottoporsi alla vaccinazione». Quando, in ogni caso, le due squadre erano ormai state individuate e il danno si era già prodotto.
     
  • Infine, nonostante l’esplicito intervento dell’Autorità Garante, in questi giorni Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome hanno formulato di concerto un nuovo documento, intitolato “Indicazioni per l’individuazione e la gestione dei contatti di casi di infezione da SARS-CoV-2 in ambito scolastico”, nel quale non si fa altro che, incredibilmente, ribadire la tendenza, già censurata, di dividere in forma manifesta gli alunni in due categorie: i vaccinati e i non vaccinati. È previsto infatti che, qualora emergano due casi positivi nella medesima classe, i soli alunni vaccinati continuino a frequentare in presenza, mentre i non vaccinati debbano stare in quarantena seguendo le lezioni a distanza; qualora invece i positivi siano tre, la DAD scatta per tutti. Dove appare evidente, ancora una volta, che, in mancanza di ragioni logiche e scientifiche che sorreggano tale impianto, esso, generando una ingiustificata disparità di trattamento tra compagni di classe, si traduce in una patente occasione di ingiusta discriminazione. 

Di fronte a tutto questo, noi genitori non possiamo più tacere. A tutela dei nostri figli, dei loro diritti e libertà fondamentali, denunciamo a gran voce in tutte le sedi competenti la pericolosa deriva diseducativa e autoritaria imboccata dalle istituzioni. Quando contro la logica, contro la scienza, contro ogni più elementare principio di umanità e di buon senso, resta solo l’arbitrio il criterio-guida dei decisori, ed esso viene esercitato in danno delle nuove generazioni, spetta a noi padri e madri la responsabilità di agire a loro protezione, nel tentativo di scongiurare ulteriori pregiudizi gravi, prevedibili e troppo spesso non riparabili.

CC

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